Querela per calunnia: il porto d’armi che fine fa?

Il Tar del Lazio (sezione Prima ter) ha pronunciato la sentenza n. 12726 pubblicata il 6 ottobre scorso, incentrata su una questione piuttosto interessante, relativa alla querela per calunnia, che è quel reato (diverso dalla diffamazione) nel quale ricade chi, in particolare, accusa falsamente altri di un reato. In particolare, il caso riguardava un cittadino che si è visto ritirare il porto d’armi (in questo caso porto di fucile per caccia) dalla questura di Viterbo, perché ritenuto capace di abusare delle armi in quanto, tra tre e sei anni prima, si era verificata una situazione di conflittualità interpersonale con un appuntato dei carabinieri, il quale era stato destinatario di una serie di querele presentate da alcuni cittadini (tra cui il ricorrente) e a propria volta aveva contro-querelato, appunto, per calunnia.

I giudici hanno accolto il ricorso, annullando quindi il provvedimento di ritiro del porto d’armi, argomentando che “il provvedimento impugnato si fonda su un procedimento per calunnia in concorso del ricorrente per fatti risalenti (l’ultimo dei quali al 2017) avviato a seguito della denuncia presentata dall’appuntato dei carabinieri, quale parte offesa e destinatario di denunce querele da parte di vari soggetti tra i quali il ricorrente; tutti i procedimenti a carico dell’appuntato, tranne uno, sono stati archiviati per insufficienza probatoria, permanendo un quadro probatorio contrastante; dai fatti di cui ai procedimenti di cui si tratta non si ricavano elementi idonei a ritenere che il ricorrente possa abusare dell’uso delle armi, non venendo in evidenza condotte violente e trattandosi peraltro di soggetto titolare di porto d’armi per uso sportivo da svariati anni le cui condotte, oggetto del rinvio a giudizio, sarebbero state integrate dalla presentazione di querele ritenute dalla parte offesa calunniose; che in relazione ai fatti denunciati dal ricorrente e dagli altri querelanti accusati di calunnia non vi è stato alcun accertamento penale definitivo nel senso della loro insussistenza; che nella peggiore delle ipotesi il ricorrente si sarebbe rivolto all’autorità giudiziaria per chiedere l’accertamento di condotte moleste asseritamente insussistenti e che neanche nei tre anni (dal 2014 al 2017) nei quali si sarebbe registrata la evocata situazione di conflittualità (addebitabile, secondo la versione attorea, confermata anche dalla questura, alla rivalità tra il ricorrente e la parte offesa per il conteso ruolo di capo della locale squadra di caccia), è stata riscontrato un comportamento scorretto nell’uso delle armi; atteso che appare coinvolto in prima persona nella vicenda un appartenente alla Forza pubblica, i fatti alla base del giudizio prognostico avrebbero meritato ben altro approfondimenti e chiarezza; il provvedimento appare allo stato carente sotto il profilo dell’istruttoria e della motivazione con riguardo alle condotte sulla cui base è stato formulato un giudizio prognostico negativo alla attualità, tanto più che si tratta di condotte non ancora accertate in sede penale e non sintomatiche in via immediata e diretta di possibile abuso nell’uso delle armi”.

Articolo di Ruggero Pettinelli